Nutrire i figli non di solo pane

Pubblicato giorno 1 dicembre 2020 - CATECHESI, COMUNIONE, In home page, in primo piano

Lettera ai genitori: Nutrire i figli non di solo pane (sussidio pastorale della diocesi di Roma)

Carissimi genitori, bussiamo alla porta della vostra casa dopo il Battesimo di vostro figlio, perché desideriamo continuare a parlare con voi dell’educazione alla fede dei bambini.

Non di solo pane vivrà l’uomo

Noi cristiani siamo certi di questo: credere è un bene, anzi è il bene più grande. Sarebbe terribile se Dio non ci fosse, perché senza di Lui nessuna speranza sarebbe stata data agli uomini. Poiché credere è un bene, non lo si può far mancare a chi si ama, in particolare ai propri figli. Gesù ha detto: “non di solo pane vivrà l’uomo” (Mt 4,4). Certo il pane ci è necessario per vivere, ma se non riceviamo qualcosa che nutre il nostro cuore, che ci conferma nell’amore e nella speranza, quel pane diventa indigesto.

Perché dare oggi una educazione religiosa ai piccoli?

Il nostro tempo però, sembra essere diventato incerto dinanzi all’educazione cristiana. Molti si domandano se educare alla fede i bambini sia veramente un bene. Un pregiudizio porta a ritenere che educare alla fede sia, in fondo, un’imposizione, un togliere libertà alle future scelte di un figlio.

Perché voi genitori, invece, non dovete essere neutrali con lui? Perché avete la responsabilità di donargli ciò che è bello e buono. Sarebbe assurdo che una mamma non scelga del buon cibo per suo figlio, dicendo che deciderà lui da grande che cosa mangiare. O che non gli insegni a parlare in un buon italiano, dicendo che sarà lui a doverlo decidere. Ogni genitore che ama offre ai suoi bambini il meglio che conosce.

Se in ogni campo questo è vero, ecco che vale a maggior ragione per la fede. Non è indifferente educare un figlio ad essere credente o meno. Come genitori, possiamo educare alla fede i nostri figli perché ci è chiaro, almeno intuitivamente, che con Dio nasce la speranza e che proprio in Gesù noi abbiamo conosciuto quanto Egli sia affidabile. Gesù ci assicura che vivere è un bene e che la vita non è nelle mani di una casualità meccanica assurda, bensì nelle mani di Dio: in buone mani. È un bene inestimabile che un bambino cresca avendo fiducia che Dio non è lontano, anzi si è fatto vicino a noi in Gesù. Verrà poi l’adolescenza, l’età della contestazione. I primi anni sono invece quelli della proposta, della semina di ciò che veramente vale.

Don Camilo spalancò  le braccia rivolto al crocifisso: “Signore, l’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. Un giorno non lontano si troverà come il brutto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del brutto delle caverne. Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?”.

Il Cristo sorrise: “Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede”, (Giovannino Guareschi).

L’esigenza che il bambino ha di Dio

Sono gli stessi bambini ad avere bisogno di Dio. Sono loro a domandarci della fede, perché l’esigenza di Dio nasce dal loro cuore e non è un’imposizione. Fra breve domanderanno: Dove ero prima di nascere? Il mondo si è fatto da solo o qualcuno lo ha fatto? Come mai sono qui e non sono nato in un altro posto? Dove è la nonna che è morta? Anche io morirò? E tu papà quando morirai potrai starmi vicino? A te piace la vita? I bambini ci obbligano a prendere sul serio le domande che noi stessi abbiamo talvolta dimenticato. L’esigenza in loro di Dio è evidente anche dalla loro preghiera. Quando avranno imparato a parlare, pregheranno Dio per noi genitori, perché sapranno almeno intuitivamente che anche noi grandi abbiamo bisogno che Dio ci stia vicino.

I bambini hanno bisogno anche di imparare ad affrontare il male. Certamente essi conoscono innanzitutto lo stupore per ciò che è bello, ma anche la paura per ciò che spezza la speranza. Ed è sciocco nascondere loro il male: essi già ne conoscono l’esistenza. I bambini hanno invece bisogno di capire che Dio è più forte del male: è questo che li aiuta a vincere la paura.

“Non educa colui che dice “fai così” ma colui che così invita: “Fai con me così”. Egli, infatti, comunica ciò che più gli sta a cuore e così facendo si mette in un certo senso a nudo. L’educazione, insegna da sempre la chiesa, è una forma di carità, un atto di amore nel quale l’educatore offre tutto se stesso nella testimonianza”, (Cardinale Angelo Scuola).

Quando comincia l’educazione religiosa?

L’educazione religiosa comincia fin dalla culla ed i primi anni sono importantissimi. A torto si pensa che l’educazione comincia solo quando si possono trasmettere concetti chiari attraverso le parole: essa comincia invece dal primo giorno di vita, perché un bambino apprende dai gesti, dal clima familiare, dagli atteggiamenti, prima di poter comprendere poi tutto con la sua riflessione. Ecco perché è importante che nel lavoro straordinario, anche se oscuro, che i genitori compiono durante questi anni, abbia una parte di rilievo l’educazione cristiana.

Il ricordo più vivo che ho di mio padre era che quando entrava s’inginocchiava in mezzo alla stanza e cominciava: “Padre nostro che sei nei cieli…” Lo guardavo e, rispetto a tutti gli altri, mio papà era il re dell’universo; io lo guardavo e capivo che in lui la vita era una saggezza. Aveva uno sguardo sulle cose che tutti i miei professori di università che hanno cercato d’insegnarmi che cosa fosse l’educazione non se lo sognavano neanche. Lui guardava le cose e le conosceva: lo capivi da come si muoveva, da come stava, da come cantava, da come giocava a carte, da come serviva a tavola noi figli e tutti gli amici che sono venuti dopo. Era uno che potevi scommetterci che sapeva le cose, le conosceva, che avrebbe potuto spiegarti che cos’è il bene e che cos’è il male, che cos’è la gioia, che cos’è il dolore, perché si muore, perché si fatica, perché bisogna vivere e che cosa ci aspetta alla fine, (Franco Nembrini).

La vostra testimonianza

Ma come educare allora alla fede, se davvero è così importante? Certamente a partire da due elementi essenziali. Il primo è la testimonianza. Il bambino maturerà vedendovi vivere. Amerà le montagne e le stelle perché vi vedrà contemplare con stupore. Imparerà il rispetto perché vedrà come dialogate a vicenda tra marito e moglie. imparerà a non urlare perché vedrà come voi amate il silenzio. così vi vedrà leggere, ascoltare la musica, ridere e giocare, e così via. Certo parlerete anche a lui di tutte queste cose. Ma egli vi osserverà sempre, anche quando sembrerà distratto. Si è educatori sempre, non solo quando ci si rivolge ai figli, non lo dimenticate.

I vostri figli impareranno che è bello cercare Dio e la sua volontà, perché vedranno voi farlo. Capiranno che credere è una benedizione perché vedranno che la fede è una realtà viva nella vostra vita. Impareranno la bellezza della preghiera, perché vi vedranno ogni tanto inginocchiati o con in mano il libro del Vangelo. Non spaventatevi di questo. La trasmissione della fede non è compito degli esperti. È, invece, per certi aspetti, la cosa più semplice di questo mondo. Se non viviamo nella ricerca della volontà di Dio, questo trasparirà dai segni semplicissimi della nostra vita.

La comunità cristiana ed i suoi riti

Il secondo elemento da cui partire per la trasmissione della fede è la testimonianza della Chiesa. La fede non è una nostra invenzione, bensì la riceviamo dalla comunità cristiana. Il segno della croce, la domenica, il Vangelo, i Sacramenti, la carità, il perdono, le feste dell’anno liturgico sono le realtà sempre nuove con cui si trasmette la fede. Dobbiamo riappropriarcene.

Ai bambini piace il rito, non dimentichiamocene mai, In realtà, esso piace ad è utile anche a noi adulti, se ogni tanto ce ne dimentichiamo. Il rito ci fa fare esperienza di Dio, anche quando non lo afferriamo concettualmente. Il bambino impara il gesto dell’inginocchiarsi, la bellezza del presepe, la solennità del canto ed il pudore del silenzio. La fede cristiana si trasmette proprio tramite questi segni, perché Dio ha voluto adattarsi alla nostra umanità: Egli Sa che noi uomini comunichiamo con parole, riti e gesti.

La tradizione della chiesa ci ricorda una cosa importantissima nell’educazione dei bambini: la ripetitività. Essa comunica ai bambini sicurezza. La ripetitività non li stanca, anzi li aiuta ad appropriarsi di una cosa. Li vediamo ripetere infinite volte lo stesso gesto. Mentre tutto si muove intorno a loro, il rito li rassicura perché li aiuta a capire che c’è qualcosa di importante che permane, che non muore. E attraverso il rito comunicheranno ad intuire che c’è una roccia che non si smuove: Dio e il suo dono di amore.