Una cerva assetata tra monti e cascate. Pregare con il salmo 42(43) – Mons. Giovanni Giavini

Pubblicato giorno 14 maggio 2019 - In ascolto della Parola, Informatore Parrocchiale

Nella Bibbia sembrano due salmi (42 e 43 o 41 e 42), ma era uno solo, poi spezzato in due non si sa da chi. Un ritornello, facilmente memorizzabile, lo scandisce in due parti: Perchè ti rattristi anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio, ancora potrò lodarlo, Lui, salvezza del mio volto e mio Dio (42, 8 e 12; 43, 5).

Come al solito ci chiediamo: chi parla in questo salmo, che leggeremo nell’ultima versione della Cei? Chiaramente si tratta di un sacerdote ebreo o almeno di un levita, cioè di un addetto all’antico salomonico tempio di Gerusalemme prima della sua distruzione (avvenuta nel 586 a.C. da parte dei Babilonesi di Nabucodònosor, ricostruito dai Giudei verso il 520, ingrandito splendidamente dal famoso e terribile Erode il Grande poco prima della nascita di Gesù e definitivamente eliminato dai Romani nel 70 d.C.). Quel sacerdote o levita ricorda con nostalgia le processioni e i canti forse da lui guidati come capocoro insieme al suo popolo: avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa.

Ma poi? Avversari…gente spietata…un uomo perfido e perverso, forse anche con calunnie, l’hanno costretto ad abbandonare città e tempio e a finire in esilio: a circa 150 Km, a nord, tra rocce e montagne innevate, vicino alle sorgenti del Giordano alimentate da torrenti e cascate fragorose, in mezzo a bestie selvatiche, cerve comprese. Tutto questo a un turista sarebbe piaciuto… a lui proprio no. Cascate e onde gli richiamano solo quelle che Dio gli ha rovesciato addosso:

un abisso chiama l’abisso, al fragore delle tue cascate, tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati. Per di più, trovandosi anche in una regione di idolatri, c’è pure chi lo sfida sulla religione e sulla fede: le lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: Dov’è il tuo Dio?

Alla ricerca del volto di Dio

C’era dunque, appunto, da piangere a dirotto o addirittura da buttarsi da un dirupo e farla finita… Invece la sua anima, cioè il suo intimo più vero, il suo cuore preferisce, nonostante tutto – quasi nonostante Dio – rimanere su un ciglio: tra disperazione e speranza. Il salmo infatti oscilla continuamente tra quei due poli, con una alternanza profondamente umana (o no?). Ecco il senso del ritornello ripetuto tre volte e altre espressioni come queste: Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a Te o Dio; l’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente (non degli idoli morti del mondo circostante). Quando verrò e vedrò il volto di Dio che adesso sembra nascosto come dietro nubi minacciose?

Ma dove tornare a vederlo? Ci vorrebbe Gerusalemme con il suo tempio? …No, ora il salmista, pur col proprio volto irrorato di lacrime, scopre che Dio è anche lì tra quelle rocce e tra il fragore delle cascate! E quindi egli può parlarGli come da cuore a cuore, da anima a anima: di giorno il Signore mi dona (o forse mi doni) il suo amore e di notte il suo canto è con me, preghiera al Dio della mia vita, al Dio della vita anche di un esiliato! Dirò a Dio: Mia roccia, perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico? Ritornano anche in questo salmo le espressioni sincere e audaci come quelle del salmo 22: “Dio mio, Dio mio perché mi hai dimenticato?” Così Dio vuole il nostro dialogo con Lui. Anche questo salmo infatti è ispirato dal Suo Spirito.

Dal ciglio della rupe rinascono allora il desiderio di tornare nella comunità di Gerusalemme e la fiducia: Fammi giustizia o Dio, difendi la mia causa…manda la tua luce e la tua verità…mi conducano alla tua santa montagna, alla tua dimora. Verrò all’altare di Dio, a Dio mia gioiosa esultanza. A te canterò con la cetra, Dio, Dio mio. Forse questo salmista era anche un…cantautore? Possiamo immaginarlo con una chitarra sulle braccia, cantare e danzare con donne e uomini della ritrovata comunità, anche se il salmo non lo scrive esplicitamente.

Da una montagna a un’altra

Da una montagna a un’altra: in Galilea, un altro ebreo – però laico – un giorno sale su “la montagna”, come il vecchio Mosè per la legge, e pronuncia luminose verità: il Decalogo e la legge mosaica sono sì una luce, ma buona per un buon ebreo; per i miei discepoli – per tutti, perché non si tratta solo di “consigli” per alcuni – invece vale ancor di più il “Ma io vi dico”! La vera roccia per una vita davvero buona è la “mia Parola”, il mio amore senza limiti, “condotto fino alla fine” e il mio Spirito!

Pur con questa enorme novità (anch’essa fa parte della “buona novella”), il salmo ora riletto contiene e rivela già di per sé preziosi valori, sui quali meditare e pregare: Dio è dappertutto e non solo nel tempio fosse pure come il duomo di Milano o san Pietro di Roma; anche un esiliato – e quanti ne contiamo ai nostri giorni – rimane sotto il volto di Dio Padre e del Crocifisso risorto e Signore; con Dio ci sono io, con la mia personalità e con le mie gioie e dolori, con la mia preghiera cordiale e magari anche sfidata dall’ambiente circostante o addirittura nemico; ma è anche bello potermi unire alla comunità e cantare con le sue voci e chitarre. E da lì ripartire, con recuperato amore, verso il mio mondo di oggi. Come una cerva che ha ritrovato la vera sorgente e la vera roccia per la vita.

Don Giovanni Giavini

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