TORNIAMO AMICI? Paolo VI e gli artisti

Pubblicato giorno 23 febbraio 2019 - Informatore Parrocchiale, Vita ecclesiale

“Ritorniamo ad essere amici?”  Questa è la domanda che Paolo VI nel 1964 rivolse ad una moltitudine di artisti in uno storico incontro da lui voluto nella Cappella Sistina. Questo è stato anche il titolo di un convegno che si è tenuto il 1° febbraio scorso al Museo Diocesano organizzato da “GASC” (Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei) e alla presenza di esperti per evidenziare l’approccio dell’allora Papa nei confronti dell’arte del ‘900 e gli effetti a lungo termine scaturiti dalle sue azioni e dalle risposte degli artisti al suo appello.

Per secoli la Chiesa è stata la grande committente dell’arte che ha prodotto capolavori immensi. Dal paleocristiano in poi la Chiesa ha sempre avuto attenzione per l’arte, come del resto tutte le culture religiose, e se ne è molto servita per spiegare la catechesi ed i suoi concetti e per sviluppare il senso del sacro ed il sentimento religioso.

Poi però il rapporto si interruppe: l’arte sacra si limitò a vecchi schemi ripetitivi, mentre il mondo artistico prendeva altre strade, diverse, innovative e laiche già dal primo Ottocento.

Paolo VI, colto ed amante dell’arte fin da giovane, decise di riavviare il dialogo, avvicinando gli artisti in modo amichevole, inducendoli ad una riflessione tra arte e fede, ribadendo che l’arte è sempre contemporanea perché espressione del suo tempo ed inserita in un determinato periodo storico e che non è chiusa nei luoghi di culto, ma è sempre aperta alla vita. L’arte nei secoli ha contribuito alla comprensione di concetti difficili e complessi rendendo visibile un mondo invisibile. Può continuare a farlo e a trasmettere bellezza, la bellezza di cui il mondo ha bisogno, perché attira lo sguardo, apre il cuore, invita a cogliere un pensiero che vada oltre la tela o il marmo e punti più in alto.

La libertà di espressione che gli artisti rivendicarono nell’800 con la loro voglia di autonomia e di provocazione e portata avanti per esprimere anche ansie, paure, tensioni sociali, innovazioni, è ancora attuale perché l’artista vive nel mondo, crea secondo il proprio sentire, anche se a volte è soggetto a leggi di mercato o di società. Del resto, chi fu più autonomo e provocatorio del Michelangelo della Cappella Sistina con le sue nudità?

Già da Arcivescovo di Milano, Paolo VI propugnò la costruzione di nuove chiese con forme, stili e materiali moderni nella consapevolezza dell’importanza che anche l’architettura riveste come inclusione e coesione sociale (anche la prima pietra di Sant’Anna fu posta dal Card. Montini).

Grazie a lui nacque la Galleria di Arte Sacra dei Contemporanei a Villa Clerici (GASC), sulla quale sarebbe interessante ritornare, e, da Papa, si battè per creare in Vaticano la sezione di arte moderna e contemporanea, che riuscì ad inaugurare nei primi anni Settanta, nonostante le ostilità e le reticenze, imponendo come sua collezione personale una serie di opere di famosi artisti. Uomo di grande apertura in questo senso, Paolo VI impresse dunque una svolta alla ricerca artistica del sacro in chiave moderna, dando impulso a qualcosa che già si era mosso con Giovanni XXIII e la sua storica amicizia, per esempio, con Manzù.

Una collezione, quella del Vaticano, aperta al futuro e presente nel mondo, come le opere presenti alla Galleria di Villa Clerici o quelle della Collezione conservata a Concesio, paese natale di Paolo VI. Certo non tutte le opere prodotte in questo secolo, siano esse pittoriche, scultoree o architettoniche contemporanee sono riuscite positivamente, ma lo sviluppo di un linguaggio legato al sacro deve continuare.

Paolo VI disse agli artisti: “Noi abbiamo bisogno di voi”. Provocatoriamente possiamo domandarci: l’arte contemporanea ha bisogno della Chiesa? Forse no, ma nell’atto di creare è insito un non so che di trascendente e diversi artisti indipendenti hanno intrapreso una ricerca personale del sacro. Come la musica anche l’arte avvicina a Dio.

Graziella Colombo