San Siro alla Vepra: un piccolo gioiello nel quartiere

Pubblicato giorno 14 novembre 2019 - Arte, cultura e società, Informatore Parrocchiale

Vorrei riproporre, a distanza di diversi anni e a beneficio di che non lo conoscesse, un gioiellino che abbiamo qui, a portata di mano, nel quartiere: si tratta della Cappella di San Siro alla Vepra, presso la sede di via Masaccio delle Suore Missionarie dell’Immacolata.

Quando nel 1162 il Barbarossa ordinò la distruzione di Milano dopo un lungo assedio, molti lasciarono la città e i cittadini di Porta Vercellina si sistemarono in un borgo non lontano chiamato San Siro alla Vepra (la Vepra era l’antico nome dell’Olona o di un braccio di essa, secondo fonti diverse). In questo luogo si trovava già da tre secoli una chiesetta dedicata a San Siro tenuta dai Benedettini come il mulino ed il territorio circostante.

Dell’antico agglomerato e della piccola chiesa originale non è rimasto nulla. Ciò che si può ammirare ancora oggi sono le tre absidi della chiesetta ricostruita in stile gotico-lombardo intorno alla metà del ‘400, in epoca sforzesca, che divenne proprietà del Conte Battista Pecchio e dei suoi discendenti fino alla metà dell’800. Nel 1911, nonostante fosse decadente, l’oratorio fu dichiarato Monumento Nazionale in ricordo delle prime riunioni dei patrioti milanesi per la causa di insurrezione contro il dominio austriaco e che portò, causa una soffiata, Federico Confalonieri ed altri allo Spielberg.

Alla fine degli anni ’20, il nuovo proprietario Temistocle Fossati fece costruire la villa in stile neorinascimentale incorporando e restaurando la chiesina in parte distrutta. Sequestrata dai fascisti ed usata, come luogo di torture efferate e di morte nei confronti di partigiani e di sospettati, dalla famigerata “Banda Koch”, la “Villa Triste”, ormai così denominata, arrivò, dopo la guerra, come donazione al PIME che a sua volta ne fece dono alla Congregazione delle Suore Missionarie dell’Immacolata. Va ricordata che pochi anni fa, in Cappella, sono stati tumulati i resti delle due fondatrici: Madre Giuseppina Dones e Madre Igilda Rodolfi.

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Fin qui la storia. Passando in via Masaccio si possono ben scorgere le tre absidi della chiesa che sporgono dal muro esterno della villa, ma l’interesse è tutto rivolto agli affreschi che le decorano all’interno; affreschi scoperti durante i lavori di risistemazione e di restauro da parte delle Belle Arti. L’abside centrale, i cui dipinti sono riconducibili agli Zavattari, a Cristoforo Moretti e a Giovanni Andrea de Magistris, presenta nella fascia inferiore una intensa Crocefissione.

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A fianco di Cristo, la Madonna e San Giovanni. Sulla parete destra, dopo la finestrella, Sant’ Ambrogio e San Siro. Sull’altro lato vari Santi: Giovanni Battista, Pietro Martire, Michele con la spada, Cosma e Damiano. Nel catino, una mandorla variopinta racchiude Cristo benedicente circondato dai quattro Evangelisti le cui figure, tranne una, quella di Giovanni, presentano non un volto umano ma di animale: l’aquila, il leone, il bue. Le opere sono quattrocentesche, così come i medaglioni che rappresentano i 12 Apostoli e che corrono lungo tutta l’arcata dell’abside. In alto, in un tondo, un Cristo nudo seduto sul bordo del sepolcro ci guarda sofferente.

I colori dominanti sono il verde, un verde chiaro che ricopre tutto la sfondo, ed il rosso porpora. Non ci sono azzurri, né gialli, né oro, se non qualche tocco qua e là. Solo Il verde, il colore della natura, ed il rosso, a volte cupo, il colore del Sangue di Cristo ma anche della maestà.

Nell’abside di destra solo decorazioni ornamentali. In quella di sinistra, invece, è dipinta una Madonna con Bambino fra Ambrogio ed Agostino con il Padre Eterno che sta per incoronare Maria. L’affresco risale al 1522. La copertura a capanna che sa di antico ed un’acquasantiera ricavata dal coperchio capovolto di un piccolo sarcofago paleocristiano completano il tutto.

Vale la pena fare una visita alla piccola chiesa e rendersi conto che anche nel nostro moderno quartiere sopravvive qualcosa di antico legato alla storia ed alla religiosità di Milano, nonché all’arte, magari minore, ma sempre preziosa e godibile, grazie alla vivezza dei colori e ad un insieme fatto di semplicità e bellezza.

Graziella Colombo

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