Le origini cristiane dell’Europa – Riccardo Nassigh

Pubblicato giorno 14 maggio 2019 - Arte, cultura e società, Informatore Parrocchiale

Un sisma storico

Qui ci occupiamo del Monachesimo, un frammento di Chiesa che ha luminosamente influenzato la nostra Europa in un’epoca fondamentale per la sua crescita civile, oltre che religiosa.

Per comprendere il senso e il valore di questo fenomeno dobbiamo ambientarlo nel più generale, epocale mutamento in atto nel nostro mondo occidentale.

In realtà si trattava di un vero snodo di civiltà, che stava mutando le caratteristiche etniche, culturali e politiche, sociali e religiose del Continente.

I filoni di questo autentico sisma culturale, oltre che politico, erano fondamentalmente due, con vaste e profonde connessioni reciproche: l’avvento del Cristianesimo e la transizione dall’Impero di Roma alla costellazione dei regni barbarici, a loro volta cristianizzati e ricomposti infine – in Europa – nel Sacro Romano Impero di Carlo Magno.

La complessità culturale e politica di questi fenomeni consiglia di evitare sintesi frettolose. Perciò vediamo di farci strada in modo più analitico.

Perché l’Impero di Roma combatté il Cristianesimo statua1

A Roma le religioni erano sempre state considerate un importante sostegno del potere, perché contribuivano fortemente alla compattezza morale del popolo, nella buona come nella cattiva sorte. Tant’è che lo Stato accoglieva senza problemi anche i culti stranieri. Fin dai tempi della Repubblica era esistita la carica di Pontefice Massimo, la più alta destinata ai rapporti fra Stato e Religioni. Proprio in funzione della sua importanza, era assegnata quasi sempre a un senatore, nel 12 a.C. Era stata assunta personalmente dall’Imperatore. Con ciò si era formalizzata un’unione personale fra il Capo dello Stato e il supremo responsabile dei culti. Era così esclusa in radice ogni ipotesi di conflitto istituzionale.

Va notato che la carica aveva continuato a esistere anche dopo l’inizio dell’era costantiniana, statua2 senza venire mai esercitata, fino a quando confluì nelle competenze papali.

Per converso, non ci fu mai pace fra i Cristiani e l’Impero, se non dopo Costantino I, e a maggior ragione dopo che Teodosio I proclamò il Cristianesimo religione dell’Impero (e ogni altro culto fu dichiarato fuori legge. Con buona pace della libertà di culto per la quale avevano perso la vita i martiri cristiani).

In sostanza l’Impero non aveva accettato il concetto base del Cristianesimo: che esistesse una potestà superiore a quella dell’Imperatore e di qualsiasi altra autorità terrena… Gesù aveva detto chiaramente a Pilato che il suo regno non era di questo mondo, ma i Cesari non potevano accettare che un civis romanus potesse avere come ultimo riferimento etico un sovrano diverso dall’imperatore. Un riferimento di coscienza al di fuori della Lex Romana.

Gli Dei non arrestano la decadenza dell’Impero

Era però inevitabile che l’Impero, dopo aver costruito le proprie fortune in completa sintonia col mondo religioso del suo tempo, lo trascinasse nel declino.

In realtà le religioni non apparivano in grado di supportare l’Impero. Non mostravano di possedere un sistema di valori capace di salvare nonostante. Cioè capace di dare comunque un senso alla vita e alla morte.

Roma si stava effettivamente addentrando in una crisi politica e militare inedita, maschera che coinvolgeva ogni aspetto della vita dei suoi cittadini, con o senza la “cittadinanza” romana.

Nel 9 d.C. il disastro militare di Teutoburgo (una foresta in territorio germanico) ebbe un effetto funesto, che andò oltre i 15.000 morti lasciati sul terreno dai Romani. Il fatto era accaduto per il tradimento di un ufficiale romano di stirpe germanica.

Il segnale era penetrato nelle ossa dei Romani. Di là era derivato il definitivo arresto dell’espansione romana nel Nord. Inoltre – fatto sconcertante – era apparso chiaro che l’esercito non poteva più esser considerato sicuro. Tanto più che ormai i Romani erano costretti ad arruolare in misura crescente genti di confine per la difesa dell’Impero. Cosa che, con l’andar del tempo, finì col provocare situazioni assurde sommamente pericolose. Si giunse ai ricatti di capi (stranieri) dell’esercito per ottenere terre e potere. E perfino a violenze e saccheggi anche nella stessa città di Roma.

La stabilità del sistema – in primis la stessa istituzione imperiale – stava mostrando segni evidenti di declino. Le terre dell’Impero subivano devastazioni e saccheggi a causa delle invasioni, e non era sempre facile distinguere da che parte fosse il nemico. Le popolazioni delle campagne non riuscivano più a trarre dalla terra il loro sostentamento; spesso erano costrette ad abbandonarla. La miseria si diffondeva in regioni un tempo fiorenti.

Ora il Cristianesimo metteva in crisi il sistema politico e religioso.

Nei primi tre secoli dell’era cristiana

Il declino dell’Impero di Roma e la formazione di una nuova Europa cristiana si erano tumultuosamente combinati attraverso i primi tre secoli dell’era cristiana, quando mutava l’intero assetto politico e culturale dell’Europa. A tal punto da sconvolgere i riferimenti etici, e appannava perfino le conoscenze tecniche empiriche del vivere quotidiano.

I Barbari del Nord e dell’Est dilagavano in Europa. Era una migrazione armata di interi popoli, che si trasferivano con armi e quant’altro avessero. Travolgevano ogni resistenza, sia che fossero a loro volta cacciati dalle loro terre, sia che avessero deciso essi stessi una migrazione di massa, attratti da regioni fertili con un clima confortevole, affascinati da una civiltà mai immaginata prima.

Fra il I e il IV secolo si mossero i Goti, poi ripartitisi in Visigoti e Ostrogoti. Questi ultimi, stanziati sulle coste del Mar Nero, vennero poi letteralmente spazzati via dagli Unni di Attila (che poi calarono in Europa nel 375 seminando stragi e distruzioni). Calarono al Sud anche Marcomanni, Catti, Alamanni e Franchi.

Frattanto, tra il 166 e il 270, i Romani avevano lasciato la Dacia e l’intera linea fortificata Alto Reno-Rezia e si erano anche accordati coi Germani, accogliendoli come federati e consegnando di fatto il territorio alla loro “custodia.” Fu questo un segno chiaro dell’accettazione da parte di Roma di stanziamenti germanici stabili in un territorio formalmente ancora considerato appartenente all’Impero. Nello stesso secolo avvenne intanto la conversione ufficiale e collettiva dei Germani al Cristianesimo Ariano, seguita dalla traduzione della Bibbia in Gotico.

La cristianizzazione dei Barbari era ormai avviata e avrebbe avuto già nel secolo successivo una crescente espansione con vicende assai complesse e sconcertanti, alle quali si accompagnò la progressiva estinzione dell’Impero d’Occidente, che nel IX secolo avrebbe definitivamente ceduto il passo al Sacro Romano Impero di Carlo Magno.

Il Monachesimo

Nel nuovo contesto dell’Europa post-romana ebbero grande rilevanza le comunità cristiane monastiche. Operavano in un ambiente politico ormai avviluppato nelle logiche di potere, cui si contrapponevano miseria e ignoranza nei popoli stremati dalle continue guerre, al punto da indurre perfino i contadini ad abbandonare i campi devastati. 

Con la conseguente diffusione di miseria e un pericoloso inselvatichimento generale della vita. 

In Italia si dimostrò molto efficace l’opera dei Benedettini, fondati da Benedetto da Norcia nel IV secolo. Furono preziosi per ridare forza vitale a gente in buona parte illetterata, che la miseria stava emarginando e che rischiavano un futuro penoso e carico d’incognite.

La regola benedettina Ora et labora divenne presto simbolo di Cristianesimo operante e di forte recupero di umanità; in rigorosa rinuncia agli interessi mondani. Una perpetua riserva di energia per fare argine all’incombente mondanizzazione della Chiesa: un veleno di cui si sarebbero visti i mefitici esiti nei secoli del Rinascimento. Anche in quel contesto storico il Cristianesimo poté attingere abbondantemente alle preziosissime riserve morali che il Monachesimo delle origini rappresentava e perpetuava.

Nei secoli iniziali del cammino cristiano i monaci rappresentarono infatti una via maestra per introdurre al Cristianesimo i popoli squassati dalle continue guerre. Conoscevano bene la povertà e sapevano gestirla e farla gestire. Non faticavano a farsi capire dai poveri. Possedevano la sensibilità e il sapere necessari a ricompattare la gente, ridarle la necessaria scossa psicologica e spirituale, che serviva a sperare.

Credo che l’originalità e la collaudata importanza sociale, oltre che religiosa, della Regola meriti qualche ulteriore commento.

Ora et labora diceva la Regola: Prega e lavora (ma, forse meglio, Prega nella fatica). Era una regola di vita comunitaria intesa come messa in comune delle energie di ognuno per un risultato che apparteneva a tutti e a ognuno, e come tale veniva utilizzato. Divergeva dal comune principio giuridico romanistico della “proprietà privata”; ma neppure significava che ognuno dovesse lavorare per sé e mettere in comune il risultato. Non si trattava di una sottigliezza linguistica: significava che ognuno doveva sentirsi parte integrante della comunità e che pertanto il risultato era contemporaneamente individuale e comune.

In questa luce andava inteso il conseguente principio della solidarietà collettiva: non un rapporto di solidarietà fra distinti, ma piuttosto una realtà somigliante al rapporto che interconnette le membra di un corpo.

Coerentemente, in analogia con questo orientamento di fondo, fu possibile organizzare lo sfruttamento integrale dei terreni appartenenti ai monasteri e creare piccole comunità autosufficienti.

I monaci coltivavano o facevano coltivare le terre dei loro monasteri, ottenendo due importanti risultati: nessuno rischiava la povertà, e la terra non correva il rischio dell’abbandono.

Altrettanto importante l’effetto politico e sociale: attorno ai monasteri vivevano in sicurezza le famiglie coloniche. Di fatto si creavano centri economicamente autosufficienti e capaci di contribuire al benessere della loro area territoriale. I prodotti eccedenti i bisogni del monastero (incluse le famiglie coloniche) venivano infatti immessi sul mercato. Cosa che non di rado attirava commerci e piccole fiere che a loro volta estendevano benessere.

La diffusione

Dopo il IV secolo il monachesimo cominciò a diffondersi in Italia, in Europa e nel Nord Africa cristiano. Gerolamo lo introdusse a Roma e Paolino a Nola, Agostino nel Nordafrica, Severino nel Norico. In Gallia operarono Martino e Giovanni Cassiano. Monasteri famosi sorsero poi nel V secolo in Francia (a Tours e Arles).

A Benedetto da Norcia si deve inoltre il monastero benedettino di Montecassino, destinato a restare il più importante in Occidente. Distrutto da un bombardamento aereo americano nel 1944, venne poi meticolosamente ricostruito per iniziativa americana dopo la guerra, utilizzando fin che possibile gli stessi materiali del convento distrutto. Per quel monastero Benedetto scrisse la sua Regola, adottata poi in tutti monasteri dell’Ordine Benedettini Olivetani.

Ancora nel VI secolo Cassiodoro (a suo tempo ministro di Teodorico) fondò un monastero a Vivarium, in Calabria.

Riccardo Nassigh