In quaresima l’amore di Dio incontra e l’amore dell’uomo e ne dischiude il compimento

Pubblicato giorno 22 febbraio 2019 - Articolo di fondo, Informatore Parrocchiale

La fede viva, che ha sedimentato una tradizione cristiana, ci consegna la quaresima come tempo di conversione. Anche i segni liturgici dicono la necessità di una profonda conversione. Il colore rosso, colore del sangue, per l’ebreo sede della vita, indica l’amore umano, mosso dalla più nobili intenzioni di realizzazione di sé e degli altri; per il cristiano, il sangue è anche e sopratutto quello di Cristo versato sulla croce, dei martiri che ne hanno seguito l’esempio, riaffermando che, pur essendo la vita un dono enorme, in alcune circostanze è possibile, a volte è necessario, riconsegnarla per amore… Il colore azzurro o blu significa l’amore di Dio, forse, perché è il colore del cielo, che nella tradizione religiosa, sin dall’antichità, è stato letto come la dimora di Dio: diverse religioni hanno posto segni della loro fede in cima ai monti (santuari, templi, croci…) perché simbolicamente rappresentassero il desiderio di “avvicinarsi a Dio”, alla sua casa. In quaresima il blu e il rosso si uniscono: l’amore di Dio incontra l’amore dell’uomo e i paramenti liturgici lo narrano con l’utilizzo del viola (in rito romano) e del morello (in rito ambrosiano). Dio si china dolcemente verso l’uomo (compiendo il desiderio dell’attesa, non per nulla anche l’avvento è caratterizzato dall’uso del viola e del morello) e lo chiama a conversione per un amore ancora più grande, sfolgorante, che si compirà nella Pasqua e nel tempo successivo (caratterizzato dall’utilizzo dei paramenti bianchi o alternativamente color oro).

Dunque, se l’avvento è tempo di attesa, di preparazione all’accoglienza, la quaresima è soprattutto tempo di conversione del proprio cammino perché incroci quello di Dio introducendo la pienezza dell’incontro. La conversione, in greco espressa dalla Parola metanoia, è di più del cambiamento di qualche atteggiamento esteriore: ha a che fare con il nous, con la mentalità attraverso la quale si guarda il mondo. Si tratta di deporre il nostro sguardo e i nostri schemi per assumere lo sguardo di Dio e la “logica” della Buona notizia, del Vangelo. Affinché il cammino possa iniziare ed arrivare a compimento, la tradizione ci consegna degli strumenti efficaci: la Memoria, la Preghiera, il Digiuno e Penitenza.

La Memoria: un essere umano senza memoria è un uomo o una donna senza storia nella quale collocarsi, senza gigante sulle cui spalle collocarsi per guardare lontano… Una delle difficoltà delle malattie neurodegenerative, forse la più significativa, è che il paziente che ne è affetto diventa progressivamente incapace di fare sintesi, di coordinare le informazioni che partono dal cervello e così, tra le altre cose, vive costantemente e solo il presente, senza essere in grado di fondarlo nella memoria del passato e nella speranza del futuro; quando questo degrado assume proporzioni ampie impedisce la possibilità di relazioni che non siano  immediatamente volte a svolgere i bisogni istintivi e immediati legati alla sopravvivenza e agli impulsi.

La custodia della Memoria è fondamentale nel cammino di fede ebraico-cristiano-musulmano: “Shema Israel” (=ricorda Israele); “non dimenticare che eri schiavo in Egitto e il Signore ti ha liberato”; “Quando sarai nella terra della Promessa, non dimenticare il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere, come non ti si sono gonfiati i piedi, non ti si è logorato addosso il mantello…”; “Fate questo in memoria di me…”; “Quando saranno accadute queste cose, Pietro ricorda e conforta i tuoi fratelli…”. Senza memoria non posso apprezzare i doni ricevuti, la gratuità dell’amore che mi ha conservato in vita… se perdo la memoria resto solo e posso contare solo su me stesso e sulle cose che possiedo. E’ emblematico il passaggio: quanto è buono Dio che ci ha donato la terra promessa; quanto è bella la terra che Dio ci ha donato; quanto è bella la terra. In questo passaggio, la Terra, che era speciale non tanto per le sue ricchezze, ma come segno dell’amore gratuito di Dio, si sostituisce a Dio diventando l’oggetto di adorazione che rinchiude nell’oblio il donatore. Da strumento di comunione diventa idolo che impedissce la relazione libera con Dio.

La memoria da sola non basta. Essa apre alla conservazione della relazione vera, alla preghiera nella quale riconosciamo e lodiamo Dio per i suoi doni; gli chiediamo di comprendere la storia nella quale viviamo, di aiutarci a far sì che le paure siano solo un campanello di allarme per destare l’attenzione sulla realtà, non i “dittatori” cui affidiamo ciecamente le scelte della nostra vita e neanche gli occhiali attraverso i quali osservare la realtà che ci circonda; gli affidiamo i nostri dolori; ci affidiamo nella nostra fragilità e debolezza e chiediamo forza e perdono. La memoria ci apre alla condivisione intima dello sguardo di Dio, alla comunione profonda con Lui.

La preghiera, affidamento della realtà come la percepiamo con i nostri sensi per chiedere in dono di partecipare all’intimità dello sguardo di Dio su di noi e sulla storia, riceve in dono il digiuno e la penitenza.

Il digiuno è l’espressione della scelta matura che, pur avendo tante possibilità, non le accaparra tutte per sé ma si educa ad un sano distacco.

I cibi per il cristiano sono tutti mondi (cfr. At 10, 9-16), a differenza dell’ebreo e del musulmano che non mangiano alcuni alimenti perché li ritengono impuri. Tuttavia, quando il credente cerca un’intimità con Dio, e quindi desidera metterlo al centro nella preghiera e nella condivisione fraterna, rinuncia a ciò che non è essenziale (anche se ciò acui rinuncia è cosa buona e non cattiva) per ricordarsi che “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio”. Così, il digiuno (dal cibo e da alcuni atteggiamenti) diventa uno strumento per dedicare più tempo al Signore e ai fratelli e per metterci in sintonia con chi è meno fortunato di noi.

La quaresima di quest’anno è particolarmente significativa per la nostra comunità pastorale, perché la Parrocchia di Sant’Anna festeggia il 60° anniversario di fondazione. Di conseguenza, abbiamo scelto che tutti gli incontri, compresi gli esercizi spirituali, vengano svolti in Sant’Anna; sarà bello constatare che anche i parrocchiani di Mater Amabilis, custodendo e accrescendo il cammino di comunione e di fraternità, saranno presenti a questi incontri.

Don Renato Fantoni