Quando un prete si siede in confessionale gli accade, a volte, di sentire affermazioni come questa: “Uccidere non ho ucciso, rubare non ho rubato, tradire non ho tradito, non saprei proprio cosa dire…”. Eppure essere figura sintetica di una comunità ti permette di osservare che vi è un modo di uccidere che non seppellisce la persona ma ne mina alla base la credibilità: il pettegolezzo, la diceria, la calunnia infondata che non trova un riscontro oggettivo o che a partire dal sentito dire, da un episodio visto o sentito e mal interpretato senza conoscere l’interezza di una storia, spande altrettanto male.
Lo ricordava molto bene papa Francesco in un’omelia durante una S. Messa celebrata in S. Marta:
Papa Francesco dice: «Quelli che vivono giudicando il prossimo, parlando male del prossimo sono ipocriti. Perché non hanno la forza, il coraggio di guardare ai propri difetti. Il Signore non dice su questo tante parole. Poi, più avanti dirà: colui che ha nel suo cuore l’odio contro il fratello è un omicida. Lo dirà. Anche l’apostolo Giovanni lo dice molto chiaramente nella sua prima lettera: chi odia il fratello cammina nelle tenebre. Chi giudica suo fratello è un omicida». Dunque, ha aggiunto, «ogni volta che giudichiamo i nostri fratelli nel nostro cuore, o peggio quando ne parliamo con gli altri, siamo cristiani omicidi». E questo «non lo dico io, ma lo dice il Signore», ha precisato aggiungendo che «su questo punto non c’è posto per le sfumature: se parli male del fratello uccidi il fratello. E ogni volta che facciamo questo imitiamo il gesto di Caino, il primo omicida». Ricordando quanto in questi giorni si parli delle guerre che nel mondo provocano vittime, soprattutto tra i bambini e costringono molti a fuggire in cerca di un rifugio, Papa Francesco si è chiesto come sia possibile pensare di avere «il diritto di uccidere» parlando male degli altri, di scatenare «questa guerra quotidiana delle chiacchiere». Infatti, ha detto, «le maldicenze vanno sempre nella direzione della criminalità. Non ci sono maldicenze innocenti. E questo è Vangelo puro». Dunque «in questo tempo che chiediamo tanto la pace è necessario forse un gesto di conversione». E ai “no” contro ogni tipo di arma diciamo «no anche a questa arma» che è la maldicenza perché «è mortale». Citando l’apostolo Giacomo il Papa ha ricordato che la lingua «è per lodare Dio». Ma, ha aggiunto, «quando usiamo la lingua per parlare male del fratello e della sorella la usiamo per uccidere Dio» perché l’immagine di Dio è nel nostro fratello, nella nostra sorella; distruggiamo «quella immagine di Dio». E c’è anche chi, ha ricordato il Santo Padre, tenta di giustificare tutto questo dicendo «se la merita». A queste persone il Papa ha rivolto un invito preciso: «Vai e prega per lui. Vai e fai penitenza per lei. E poi, se necessario, parla a quella persona che può rimediare al problema. Ma non dirlo a tutti». Paolo, ha aggiunto il Pontefice, «è stato un peccatore forte. E dice di sé stesso: prima ero un peccatore, un bestemmiatore, un violento. Ma mi è stata usata misericordia. Forse nessuno di noi bestemmia, forse. Ma se qualcuno di noi spettegola certamente è un persecutore e un violento». Il Pontefice ha concluso invocando «per noi, per la Chiesa tutta, la grazia, della conversione della criminalità, delle maldicenze nell’umiltà, nella mitezza, nella mansuetudine, nella magnanimità dell’amore verso il prossimo».
Alcuni dicono: «In fondo, che male c’è? Non ho mica ucciso qualcuno!». È questa la giustificazione che ci diamo, subito dopo aver ceduto a una delle tentazioni più diffuse e difficili da estirpare, quasi fosse intrinsecamente legata alla natura umana. Diffondiamo pettegolezzi, dicerie, che spesso diventano ingiurie ben più offensive, si rivelano calunnie, spesso senza alcun fondamento. Minano la dignità e la credibilità delle vittime, viaggiano a gran velocità in ogni direzione e intaccano la serenità e la tranquillità di chi ne è stato fatto oggetto. Spesso si tratta di parole al vento, prive di qualsiasi fondamento… e si arriva persino a molto, molto peggio: alle volte le insinuazioni sono diffuse ad arte, proprio con l’intenzione di ferire e di minare la credibilità di chi è protagonista di queste chiacchiere di quartiere, quando non di parrocchia. Eh sì, perché neanche le nostre parrocchie ne sono esenti: anzi, purtroppo, è proprio questo il luogo in cui si producono e proliferano con maggiore fecondità!
Ben lungi dall’essere “chiacchiere innocenti”, tanto per rompere il silenzio condominiale o il gelo che cala nei fugaci e occasionali incontri, sono purtroppo vere e proprie armi, consapevolmente utilizzate per isolare l’avversario e sconfiggerlo con l’attacco più potente: quello della solitudine e dell’indifferenza. Del resto, meccanismi molto simili accadono anche sul luogo di lavoro. Non si svolge forse in questo modo il mobbing, che punta a distruggere interiormente le persone, fino a costringerle a una resa innocua e pacifica?
Un’ultima citazione: un episodio della vita di san Filippo Neri, che forse può aiutarci a comprendere meglio:
Un giorno, una chiacchierona nota in tutta Roma, andò a confessarsi da San Filippo Neri. Il confessore ascoltò attentamente e poi le assegnò questa penitenza: “Dopo aver spennato una gallina dovrai andare per le strade di Roma e spargerai un po’ dappertutto le penne e le piume della gallina! Dopo torna da me!”. La donna, un po’ a malincuore, eseguì questa strana penitenza e andò a riferirlo a Filippo Neri. Lui le disse: “La penitenza non è finita! Ora devi andare per tutta Roma a raccogliere le penne e le piume che hai sparso!”. “Tu mi chiedi una cosa impossibile!”, disse la donna. E il confessore le rispose così: “Anche le chiacchiere che hai sparso per tutta Roma non si possono più raccogliere! Sono come le piume e le penne di questa gallina che hai sparso dappertutto! Non c’è rimedio per il danno che hai fatto con le tue chiacchiere!”.
Don Renato Fantoni
Quando le parole possono uccidere
Pubblicato giorno 10 ottobre 2016 - Informatore Parrocchiale